2022
Allam Fakhour
Da sempre l’arte riflette il vissuto di un artista, raccogliendone le esperienze personali e collettive, i sentimenti, i drammi e le tragedie; emozioni che, riprodotte su tele o attraverso sculture, sono puntuale testimonianza di una vita che non è mai linea retta, ma un intreccio spesso inestricabile di gioie e dolori, sofferenze e paure, conquiste e fallimenti. Dicotomie senza soluzione di continuità, portate alle estreme conseguenze nel momento in cui l’arte è quella di un artista che lotta per la propria libertà: un ribelle che diventa vittima, profugo in un Paese ostile e infine rifugiato politico in un Occidente che gli offre una libertà forse mai respirata a pieni polmoni, ma lontano dalla terra che invece gli ha donato la vita.
Tutto questo è Allam Fakhour, quarantacinquenne siriano, uomo e artista che ha trovato e fatto dell’arte la sua essenza, il mezzo e forse lo strumento necessario per metabolizzare e anche esorcizzare un passato che non passa ma che ha segnato e continua a contraddistinguere la sua produzione artistica: formidabile, lacerante, un grido di dolore che è invito alla lotta, alla ribellione. Una sollecitazione dunque a riflette, prendere posizione e forse anche ad agire per scardinare quello status quo che ha portato Allam a vivere e conoscere sin da bambino bombardamenti aerei, massacri e torture. Fino alla diretta incarcerazione, agli inizi degli anni Duemila, appena dopo la laurea in scultura all’Accademia di Belle Arti di Damasco.
Sono cinque anni di prigionia, dove l’artista matura e sviluppa una particolarissima e assolutamente originale tecnica scultorea fatta di pane e sapone, gli unici materiali all’interno del carcere, due elementi che Allam ha saputo rivestire di senso, significato, valore, ben al di là del loro utilizzo quotidiano. La lotta per sfamare i propri figli e la necessità di ripulire sporcizia politica e mentale, diventano così gli elementi cardine di una produzione che l’artista perseguirà dopo la liberazione, nel 2011, una breve parentesi prima di spiccare il volo tre anni dopo con la propria famiglia verso il Libano e raggiungere l’anno successivo la Svizzera. Un percorso dunque accidentato, irto di ostacoli, che ha segnato una produzione in cui si intrecciano tristezza, speranza, aspettativa e attesa dell’ignoto.
Sono queste infatti le espressioni che emergono dai “volti” di Allam, un misto di tristezza e dolore, solitudine e smarrimento, paura e attesa. Le condizioni appunto del prigioniero, dell’arte sotto sequestro, dell’uomo che, con le sue mani intinte nel colore, cerca e anela a un abbraccio liberatorio, all’aspirazione di ritrovare i propri cari, a riconquistare una libertà forse mai pienamente conosciuta e vissuta. Una vita fragile, come fragile è lo strumento del suo lavoro, la carta, sulla quale Allam traccia immagini e forme che rivelano la personale sofferenza patita in carcere e rimasta indelebilmente impressa nella sua memoria così sensibile. Un nuovo viaggio quello che offre Casa Rusca, un percorso espositivo drammatico ma allo stesso tempo ricco di spunti, un tentativo per conoscere e ripercorre le tante sfaccettature di un mondo al contempo meraviglioso e drammatico.
1987 Serodine, la pittura oltre Caravaggio
1988 Graham Sutherland
1989 Giorgio Morandi
1991 Max Bill
Alberto Burri
1992 Osvaldo Licini
1993 Enrico Baj
1994 Emil Schumacher
1996 Asger Jorns
1999 Maraino Marini
Sophie Taeuber-Arp
2001 Antoni Clavé
2004 Piero Dorazio
2010 Valerio Adami
2011 Fernando Botero
2013 Varlin
Zao Wou-Ki
2014 Hans Erni
Jacques Lipchitz
2015 Hans Arp
Felice Filippini
2016 Javier Marín
Rotella e il Cinema
2017 Robert Indiana
Ivo Soldini
2018 Mario Botta
Alex Dorici
2019 Manolo Valdés
Stephan Spicher
Meng Yan. Ritratti
2020 Gilbert & George
2021 Aurelio Amendola. Visti da vicino
Armando Losa
2022 Gabriela Spector
Malina Suliman
Colomba Amstutz